Sono oltre 40 i modi di definire i tipici dolci di Carnevale nelle varie regioni d’Italia. Dalle denominazioni più fantasiose – come “intrigoni” e “saltasù” – fino alle definizioni i più diffusi, come cenci, bugie, chiacchiere. Scopriamo di più su questo dolce e su come prepararlo.
Il Carnevale è un momento ricco di gioia e divertimento. Come ogni festività che si rispetti ha i suoi rituali e le sue tradizioni. La festa di Carnevale trova le sue radici in un passato lontano. Veniva celebrata ai tempi dell’antica Grecia e già in epoca romana si trova la prima traccia del suo dolce più rappresentativo: le chiacchiere.
Questo dolce deve il proprio nome alla semplicità della sua ricetta, sia per gli ingredienti sia per la preparazione. Per preparare le chiacchiere servono solo uova, farina, lievito, sale, zucchero e burro. Mentre per la cottura serve solo un po’ di olio di arachidi.
Questo dolce antico e molto famoso ha però una particolarità: cambia nome a seconda della regione e conta circa ben 40 nomi diversi.
Le “chiacchiere” a Genova, Torino, Asti, Imperia e Savona si chiamano “bugie”. A Firenze, Prato e in altre parti della Toscana si chiamano “crogetti” o “cenci” termine preferito da Pellegrino Artusi, scrittore e gastronomo che scrisse il primo trattato gastronomico dell’Italia unita. Il termine “cenci” compare anche nel vocabolario della lingua italiana Zingarelli con la definizione di “tipico dolce del carnevale” ed è presente anche nel GRADIT, Grande Dizionario dell’Uso di Tullio di Mauro. A Cuneo e nella zona a sud del Piemonte sono le “risòle” mentre a Piacenza sono le “sprelle”.
Il termine “chiacchiere” è forse il più diffuso per indicare questo dolce. Viene utilizzato in Basilicata, Sicilia, Campania, Lazio, Abruzzo meridionale, Molise, Umbria, Puglia, Calabria e nelle città di Milano, La Spezia, Massa Carrara, Sassari e Parma. In Trentino e in Venezia Giulia si chiamano “cróstoli” o “gròstoi” o “grustal” come a Ferrara, Imperia, Rovigo, Vicenza e Treviso mentre nel Friuli “cróstui”. In Sardegna e in Valle d’Aosta hanno dei nomi molti simili, i primi dicono “maraviglias” e i secondi “merveilles”.
Il nome di questo dolce può variare anche a seconda della ricetta, ad esempio per i toscani del grossetano esiste la distinzione tra “struffoli”, ricetta semplice, e “melatelli” se ricoperti di miele. Nel centro Italia è diffuso anche il temine “crespelle” o “sprelle”. Il termine “sfrappe”, “sfrappole” o “rosoni” viene usato nelle Marche e in Emilia Romagna. Molti di queste espressioni, come “frappa” o “sfappra”, derivano da termini che stanno ad indicare parti di stoffa con bordo frastagliato.
In effetti è proprio quello che questi dolci “ricordano” visivamente per leggerezza e forma ma non certo per sapore. A Venezia dovete chiedere i “galani” mentre a Mantova le “lattughe” o “latǖghe”, a Caserta i “guanti”. Nel novarese e vercellese troverete le “gale” o “gali”. Questo termine deriva dalla parola spagnola “gala” che al tempo di Goldoni indicava un ornamento,un addobbo da indossare in occasioni frivole. Mentre nel basso alessandrino troverete le “gasse”, a Trento i “grostoi” o “gròstoi”.
Non mancano delle denominazione particolarmente simpatiche ed espressive. A Reggio Emilia ad esempio questi tipici dolci di Carnevale si chiamano “intrigoni” mentre a Brescia “saltasù”.
A seconda della regione di provenienza oltre al nome può cambiare un po’ la ricetta. Potete trovare questo dolce aromatizzato con il marsala o con la grappa oppure potete trovarlo cosparso di mascarpone o di cioccolato. Nel centro dell’Abruzzo dicono “cioffe” mentre per i molisani sono i “cunchiell’” o “qunghiell”, nella zona di Montefeltro e Rimini si chiamano i “fiocchetti” mentre a Roma, Viterbo, Perugia e Ancona sono le “frappe” e ancora potete trovarle sotto il nome di “stracci”, “lasagne”, “pampuglie”, “manzole”, “garrulitas” e chissà quanti altri nomi ma la ricetta è sempre la stessa.
Chiamateli come volete ma quelle strisce sottili a forma di fiocco leggere e friabili sono e rimarranno il dolce più amato del Carnevale.